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BEATBOX: il concerto per chi non c'era allora

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 22 feb 2016
  • Tempo di lettura: 3 min

#Beatbox – (R)Evolution

Milano – Teatro della Luna – Release: 19 Febbraio 2016

Voto. 7,0


Da sempre penso che le cover/tribute band non facciamo bene all'attuale mercato della musica dal vivo. Non per le band stesse, molto spesso assai brave, ma per la “filosofia che si portano dietro. La cover band ti fa entrare in un ventre caldo, quasi materno rispetto all'ascolto della musica. Risentire altrui grandi successi toglie stimolo alla voglia di ascoltare cose nuove, di andare avanti con la musica, scoprire. L'effetto nostalgia, che inevitabilmente si portano dietro tali operazioni, non aiuta le nuove leve della musica mentre per il pubblico è un modo di avere certezze, sapere già cosa si va a vedere. Ancor peggio poi sono le cover/tribute di artisti in attività: perché fruire dei surrogati quando hai l'originale?

Ma ovviamente, fatti salvi alcuni principi fondamentali del suddetto enunciato, ci sono alcune incredibili e credibili eccezioni grazie anche ad operazioni particolari. Me ne vengono in mente alcune: i Musical Box, che rifanno i vecchi tour dei Genesis (periodo Gabriel) ripescando costumi e scenografie originali, i Phish che suonavano altrui album per intero. E poi, tra gli altri, ci sono anche i nostrani Beatbox che invece affrontano il repertorio dei Beatles. Canzoni che hanno fatto la storia della musica e del costume della società del secolo scorso stendendo la propria influenza anche sul presente.

I quattro (ovviamente) musicisti italiani sul palco ripropongono, in un perfetto abbigliamento ed acconciatura, un bel segmento dei tanti successi dei Fab Four usando strumenti e suoni adeguati. Tuttavia la caratteristica di questo concerto/spettacolo, che infatti viene presentato come un musical, è sostanzialmente una: quella di raccontare un percorso, una Rivoluzione/Evoluzione e di farlo bene.

Nelle due ore abbondanti di spettacolo con alcuni contributi filmati e racconti ma sopratutto attraverso le canzoni, si illustrano quelli che sono stati i cambiamenti della band, contestualizzandoli nel periodo in cui questi sono avvenuti e capendo anche le “responsabilità” dei Fab in questi cambiamenti.

Il primo tempo è tutto incentrato sul periodo “giovanile” e sulla costruzione dalla beatlesmania e prende in considerazione gli anni '63/'66. La seconda parte invece è completamente diversa raccontando la nuova “veste” (e vestiti) dei Bealtles. Da “Sergent Pepper” a “Leti It Be” cambiano, sul palco e nella storia, i suoni, gli strumenti, i colori, i vestiti, la ragion d'essere del gruppo e il suo posizionamento nella società e nella musica, arriva la psichedelia lisergica, le droghe, le filosofie orientali e la fine di una storia. La “cover band” si adegua alla trasformazione e (sopratutto nel secondo tempo) cambia spesso d'abito e di look e di scenografia”. Questo è forse il limite maggiore dello spettacolo che non è molto “bilanciato” tra la prima e la seconda parte proprio nell'aspetto visuale e scenografico. In parte è anche la storia che lo richiede, in parte sembra che la band sul palco preferisco il periodo conclusivo dell'epopea.

Bravi i Beatbox che riescono a raccontare e tradurre questa storia in maniera interessante ed evidenziando appunto il percorso e le mutazioni genetiche di una band che ha avuto, sopratutto nella seconda parte del suo cammino, molteplici facce. I “cloni” fanno capire i molteplici ingredienti di questa storia: Rockn'n'roll, “canzonette” (mi si scusi la semplificazione), pop, strilli di ragazze impazzite, colori, suoni più rock, maggior consapevolezza del proprio ruolo e grande libertà creativa.

Per il resto niente da dire sulle esecuzioni, sulla parte iconografica e sulle scelte dei brani (ovviamente qualcosa deve restare fuori) che vanno da “Love Me Do” alla conclusiva “Let It Be”. Immancabili anche l'effetto nostalgia e “cantiamo tutti insieme” come un grande Karaoke......

Ma i Beatbox d'altronde fanno molto per coinvolgere il pubblico. Mancano tuttavia le famose scene d'isteria collettiva...


 
 
 

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