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CARMEN CONSOLI: Un’oasi nel deserto della sterilità creativa degli ultimi anni (Recensione Concerto)

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 28 lug 2017
  • Tempo di lettura: 4 min


CARMEN CONSOLI

27 Luglio 2017

Auditorium Parco della Musica, Roma

“Luglio suona bene”

Voto: 10

Di Francesca Amodio

Continua con grande successo una delle rassegne estive capitoline più seguite dal pubblico della Capitale, “Luglio suona bene” dell’Auditorium Parco della Musica, che ha in programma stasera uno dei concerti più attesi dai romani, quello della “Cantantessa” Carmen Consoli, la più amata della sua Sicilia.

L’apertura è affidata a Gabriella Lucia Grasso, finalista quest’anno al Premio Tenco nella categoria album in dialetto, accompagnata alla chitarra dall’abile e fido Denis Marino. Cantautrice carismatica e potente, uno dei cavalli di punta della blasonata scuderia “Narciso Records”, etichetta indipendente tutta al femminile fondata dalla Consoli quindici anni fa, senza ombra di dubbio Gabriella incarna alla perfezione i valori e gli scopi della stessa, ossia la diffusione dei talenti legati visceralmente al territorio siculo ma che al tempo stesso possiedono la portentosa capacità di comunicare in modo universale tramite le parole profonde del dialetto e i suoni connaturati e passionali che vanno dal folk isolano fino all’universalità delle note argentine, con l’abilità di sperimentare attraverso la tradizione, suonando lo scacciapensieri come fosse un synth, ad esempio. Tutto ciò è stata la magistrale apertura di Gabriella Lucia Grasso.


Sono da poco trascorse le 21.30, il palco è pronto, l’atmosfera pure: le note de “‘A finestra” accolgono una Carmen Consoli davvero bellissima. Quarantatré anni a settembre, la splendida catanese sembra la protagonista d’un quadro d’arte sacra medievale, avvolta in una lunga gonna nera ricamata di colori vivissimi tra i quali spicca un rosso, adagiata con disinvoltura su due tacchi vertiginosi e sensualissimi, color oro, su cui Carmen si muove con innata naturalezza.

Le forme addolcite dal tempo e dalla maternità non lontana guardano con soddisfazione gli anni in cui quella ragazzina quasi paurosa e timorosa, e smaliziata al contempo, riscriveva e ridava connotati nuovi al folk, al pop, al rock e al cantautorato femminile in Italia, con una capacità di scrittura a cavallo fra il poetico e il quotidiano, tra la tradizione e l’innovazione, tra il dialetto e la ricerca di un italiano poco parlato, raffinatissimo, il tutto coadiuvato da arrangiamenti propriamente sui generis che si districano tra il canto popolare, il rock energico e la capacità di travolgere l’ascoltatore e trasportarlo in mondi vicini, quelli dei vicoletti e delle vecchie affacciate alle finestre, e lontanissimi, sotterranei, immaginari, fatti di perturbazioni atlantiche e echi di sirene, di città irreali e al tempo stesso tangibilissime. Il tutto con le note, il tutto con un marchio di fabbrica ad esclusività di Carmen Consoli, un vanto italiano femminile che poco ha da spartire con molte sue colleghe.


Merito di una band strepitosa, dal suo storico chitarrista Massimo Roccaforte, anche al mandolino e al bouzouki, dall’inconfondibile sound, alla pianista Elena Guerriero, passando per l’indissolubile coppia Emilia Belfiore – Claudia Della Gatta, rispettivamente violino e viola e violoncello, coadiuvate da Adriano Murania alla viola e al violino, passando per Alessandro Monteduro alle percussioni, Concetta Sapienza ai fiati e Giuseppe Spampinato alla tromba, merito di una scenografia e di un gioco di luci da togliere il fiato, a firma di Camilla Ferrari, che incastona il diamante Carmen e i suoi otto in una cornice che sembra un’avvolgente conchiglia, il sipario di un cabaret e il riflesso di una ruota panoramica allo stesso tempo, l’impeccabile scaletta di Carmen Consoli ripercorre il suo meraviglioso repertorio, che va da “Il pendio dell’abbandono” a “Mio zio”, da “Mandaci una cartolina”, brano commovente dedicato al padre scomparso, all’emblematica “L’ultimo bacio”. Un formidabile omaggio all’adorata Joni Mitchell con “Little green” e si ritorna a “Fiori d’arancio”, “Geisha”, “L’eccezione”, “Maria Catena”, “L’abitudine di tornare”, “A.A.A. Cercasi”, “Guarda l’alba”, “Parole di burro”, l’esplosiva “Venere”, una suggestiva, struggente ed emozionantissima “Fino all’ultimo”, “Contessa miseria”, “Confusa e felice”, per terminare poi con l’immancabile trittico “Amore di plastica” – “Blunotte” – “In bianco e nero”.


L’inconfondibile timbro vocale di Carmen, da brividi e pelle d’oca nelle alte e soprattutto negli urli liberatori, misto alla sua straordinaria eleganza, energia, congenita classe, il garbo d’altri tempi intervallato quando serve da una severa, scomposta e incredibilmente sensuale mascolinità, fanno di questa gemma italiana un unicum nel nostro Paese e non solo. Tra ricordi d’infanzia e messaggi universali, che sia da sola con la sua chitarra, accompagnata da tutti e otto i suoi musicisti o da uno soltanto, Carmen è in un perenne stato di grazia: stasera si ha l’ennesima conferma di uno dei talenti più carismatici e unici che la canzone italiana d’autore abbia mai avuto, una donna che ha saputo riscrivere un linguaggio canoro a modo suo, scandagliando i pensieri di vecchi e prostitute, di madri, di padri, di rapporti ancestrali e atavici, di rapporti malati, di amori sbagliati e di altri totalizzanti, indagando la morte e la vita, e, fondamentalmente, l’imperitura e dolcissima atrocità della vita.

Una donna a cui l’imperversare del tempo ha regalato solo convinzione e dedizione, consapevolezza, un’artista che rappresenta un’autentica perla e un’oasi nel deserto della sterilità creativa degli ultimi anni musicali, una gemma pura che ha ridonato una veste nuova e bellissima alla canzone italica e di cui si attendono con ansia i futuri sentieri sonori.


 
 
 

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