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CLAUDIO TROTTA: La passione di organizzare concerti. Il promoter si racconta (Recensione libro) - #C

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 2 nov 2017
  • Tempo di lettura: 3 min


CLAUDIO TROTTA

NO PASTA NO SHOW

MONDADORI

PAG. 200

EURO 19,90

Voto: 7.5

di Massimo Pirotta

No Pasta? Forse perché il noto promoter che in questa autobiografia si racconta e si mette a nudo tende ad ingrassare, come simpaticamente scrive, oppure perché molti artisti sono vegetariani? E “il magari del perché”, alcuni musicisti preferiscono cenare prima e altri dopo il concerto? A voi scoprirlo. No Show? Qui nessun punto interrogativo, perché Claudio Trotta in 40 anni col “mestiere” ha messo sul palco centinaia e centinaia se non migliaia di artisti e spettacoli di varia natura garantendo sempre la qualità della proposta (la sua bibbia parla di oltre 15.000 ecenti). Un promoter Tutti Frutti capace di soddisfare più palati, musiche al gusto di… ce n’è per tutti, no problem. Oltretutto in un settore in cui non mancano scandali (il secondary ticket) nè lati oscuri (il lavoro nero).


La madre attiva in ambiti teatrali, piccole parti in alcuni lungometraggi, capace di ballare sulle note di una danza turca, persino contorsionista all'occorenza nei varietà. Altri parenti impegnati, abbagliati, catturati nelle piccole o grandi manovre del mondo dello spettacolo. Ma soprattutto, il passato/futuro tutto “love and passion” di Claudio Trotta per il mondo delle sette note. Basta andare in tre delle ultime pagine del libro per capire al meglio. Ci si trova ad avere a che fare con la sua colonna sonora per l’occasione. Quella da abbinare a queste pagine che suonano, tra l’alternanza sold-out/flop uguale andare in rosso (perché quando organizzi concerti è così: sereno/variabile). “Sicuramente sarà un successo” perché un promoter che dopo molti anni di lavoro va ancora ai concerti e non solo per lavoro, si mischia con gli appassionati, è sempre in cerca di nuovi ascolti, merita rispetto. Un impresario che ama i Grateful Dead (il suo frutto proibito) e che nell’elenco parte con l’avant-jazz politics dell’Art Ensemble Of Chicago per concludere coi bitter fruit di Little Steven, non è cosa da sottovalutare. E che fa la differenza con molti dei suoi colleghi. Claudio Trotta che affronta la sfida negli stadi oppure che si dirige nei piccoli rock-club, che sta nel backstage, a lato palco e che è perfettamente consapevole che ci vuole una squadra ben affiatata e da creare di volta in volta. Fonici, facchini, addetti alla comunicazione, assistenti del catering, grafici e via così… e dove la cura del dettaglio merita la massima attenzione.

Il mio non è un ragionamento filo-imprenditoriale (proprio non sono il tipo, io di “indole comunarda”) ma il suo salvaguardare il valore della musica, renderlo prova continua ed evolutiva, va sicuramente elogiato. Tutto cominciò in giovane età col trasmettere musica via etere a Radio Montestella (“mi pagavano pure”) e con l’avere ancora nel cuore la sua esperienza ai microfoni di Canale 96 (qui rigorosamente “a gratis” ma in un clima vivace e con l’improvvisazione all’ordine del giorno, il tutto targato “sinistra extraparlamentare” perché quell’emittente era vicina alla posizioni politiche dell’allora Avanguardia operaia) per poi… In queste cento pagine per due, ricche di aneddoti, di auto-spinte esistenziali, di passionali e vissute realtà, di capacità dialettiche e di memorie miste ad emozioni, risate e perché no… incazzature (queste ultime, il lato A e il lato B di qualsiasi lavoro). Pagine che paiono una seguitissima corsa ad ostacoli e ben oltre i quattrocento metri (gente che ci ha tentato a “promuovere” ma…) trovano spazio passioni folk, dieci buone ragioni per andare a un concerto e altrettante per non andarci e starsene a casa e poi quella volta... Nina Hagen, Gianni Minà e Cassius Clay che a sorpresa sono tra il pubblico al concerto di Bo Diddley all’Odissea 2001 di Milano, l’incontro con Frank Zappa con due ore di prove perché la setlist non era mai uguale, Stevie Wonder che chiede l’orchestra sinfonica, i Monster Of Rock magari inseriti all’interno de le Feste de l’Unità (realismo da spaghetti-horror, socialismo tascabile e migliaia di biglietti venduti in prevendita, tic & toc), Luciano Ligabue che viene e va, il bodyguard di Axl dei Guns’n’Roses che solleva di peso il suo protetto, “Sonoria” con un cast che sembrò infallibile (ed oltre la musica) ma che si rivelò un disastro economico, la stima per Gianni Maroccolo, un truffatore che chiede un colloquio per organizzare due date della P.F.M., i magic moments con Ry Cooder, il “piacere della gattabuia” , i sogni rimasti nel cassetto, l’auto-ironia che fa capolino: cosa farò da grande io che non so suonare nemmeno un campanello? E moltissimo altro ancora. Tra cui, la solida amicizia e collaborazione con Bruce Springsteen che iniziò così: “La mia prima volta con Springsteen non fu né da promoter né da collaboratore. Fu da appassionato di musica che voleva andare a vedere questo cantante di cui si cominciavano a raccontare meraviglie”. Quell’11 aprile ’81 sembra oggi. E… continua.


 
 
 

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