FINK: Un viaggio attraverso i sensi, gradevole e stimolante (Recensione Concerto) #Fink #QuirinettaR
- Redazione
- 3 nov 2017
- Tempo di lettura: 2 min

FINK
02 Novembre 2017
Viteculture Quirinetta
Roma
Voto: 8
Di Francesca Amodio
Anche quest’anno non delude la programmazione musicale di uno dei luoghi capitolini, dediti non solo alla musica ma all’arte in generale, più suggestivi ed affascinanti della città, il Quirinetta: da Omar Pedrini a Samuel, da Joyce Wrice a Julia Holter, fino a Michael Malarkey e tanti altri, ce n’è davvero per tutti.

A due passi dalla Fontana di Trevi, incastonato fra le vie storiche del centro, con scorci e vicoletti da ritratto, il Quirinetta, gestito da Viteculture Eventi, che ha visto nella persona di Mamo Giovenco il direttore artistico del Viteculture Festival, da qualche anno oramai si distingue per una programmazione variegata ed onnivora, che ha sempre soddisfatto i palati musicali più raffinati, che apprezzano sia le proposte nostrane, emergenti e navigate, sia le sonorità che arrivano da lontano e che quindi hanno un fascino differente, come dimostra stasera il live di uno dei musicisti britannici più apprezzati del panorama della cosiddetta “indie music”, Fin Greenall, conosciuto ai più col nome d’arte di Fink.
Classe 1972, noto per le sue sperimentazioni con la chitarra che partono dalla Spagna fino ad arrivare ai compositi arrangiamenti di archi e batteria, a cavallo fra l’elettronica più contemporanea, il suo famoso fingerpicking, il blues e la tradizione, con un curriculum che vanta produzioni per gli Elbow, collaborazioni con John Legend, aperture ad artisti del calibro degli Zero 7, fino all’incursione nell’ultimo lavoro della nostrana Paola Turci, “Il secondo cuore”, nella bella “Sublime”, dai sapori british r’n’b, Fink stasera incanta un pubblico che lo ascolta curioso ed attento in questa dimensione del club, intima ed accogliente, che senza dubbio gli si confà.

Tra salti temporali sul passato e la presentazione del nuovo lavoro di inediti, “Resurgam” fresco di stampa, un ritorno alle sonorità più propriamente folk della sua produzione più recente dopo la parentesi blues di “Fink’s Sunday Night Blues Club, Vol. 1”, questa “resurrezione” di Fink è un’ulteriore ode al suo sperimentalismo e alla sua ricerca sonora dettagliata, curata e vibrante, che spazia da minimalismo sensazionalistico stile Radiohead, naturalmente amati dal musicista in questione, fino alle melodie più composite e omogenee di brani squisitamente sensoriali come “Word to the Wise,” The Determined Cut”, in cui inoltre il timbro avvolgente e profondo di Fink aggiunge quel quid che fa la differenza.
Il pubblico romano si lascia trascinare da questo artista sui generis, supportato da un’eccezionale band, piacevolmente fuori dagli stilemi, che si lascia ascoltare con attenzione, curiosità e trasporto, nella riuscita di un’esibizione impeccabile, un viaggio attraverso i sensi gradevole e stimolante.
Fink è una delle risposte a chi ancora si domanda se la musica appartenga ad un genere: a costoro, tramite le note, egli risponde che l’unica distinzione da farsi è quella tra musica e non musica, e Fink, modestamente, musicista superlativo lo nacque.
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