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IAN HUNTER & THE RANT BAND: Sensibili alla linea (Recensione concerto) #IanHunterTheRantBand #Bl

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 17 ott 2017
  • Tempo di lettura: 2 min


Foto: Luca Crippa

IAN HUNTER & THE RANT BAND

16 Ottobre 2017

Bloom, Mezzago (MB)

Voto: 8.5

di Massimo Pirotta

Immagini di Chiara Arrigoni, Luca Crippa e di Gabriele Mileti-Nardo

Pardon, ma avevo perso il conto… “Guarda un po’, 78 anni”, mi dice Claudio Trotta, responsabile della Barley Arts. “Porca paletta, non dico che sembra un ragazzino ma…”. Accompagnato da una band di cinque elementi, sul palco a sprizzare energia e pathos, modi eleganti nel rapportarsi col pubblico e soprattutto un set che, da subito, decolla senza esitazioni. No, non ci sono più i lustrini della gloriosa stagione del glam-rock che fu, ma abiti più sobri, tutta la consapevolezza dell’ “essere personaggio” e all’occorrenza di farsene un baffo e quel che più conta, dopo una lunga carriera ricca di soddisfazioni, la precisione nel mantenersi “superiore”, il non tentennare nell’intraprendere strade evolutive, il posizionarsi a colpi di suoni tra stagioni passate e a venire. E’ in circolo un repertorio che è collante che trasmette emozioni, ottima musica, è luce ancora oggi dove tutto cambia.

Foto: Chiara Arrigoni


Unica data italiana, dopo le date in Germania e Svizzera e quelle a seguire in Spagna e Stati Uniti. Ian Hunter non ha certo bisogno di presentazioni. E’ (stato) Mott The Hopple, ha fatto bagordi sonori con David Bowie, Mick Ronson, Queen, ha provato nuove vertigini collaborando con Mick Jones, John Lydon, Generation X. Insomma, quel punk che era una pentola a pressione, ed è semplicemente fantastico, ritrovarlo qui e oggi, con tutta l’autorevolezza che ha il piglio artigianale ma che non ha difficoltà nel propagandarsi. Così nei piccoli rock-club, così negli stadi, così nel disegnare ritratti sonori in grado di mischiare terra d’Albione e americana… così nel centrare senza senza tregua l’obiettivo. Ti trascina verso sé, sa modellarsi in modo istantaneo, non concede deroghe. E’ il lato migliore del rock senza età: vapori colore evergreen, strategie di rock senatoriale, tiro al piattello contro le zero fantasie. Qui c’è tutto il contrario: lo scandire esteriore, la ricchezza dei contenuti, i riff spavaldamente educativi, l’inclusivo lessico sonoro. E’ un concerto che è testimonianza di quanto il continuo sondare traiettorie è il migliore antidoto e il più valido anticorpo contro un certo vagheggiare asciutto di certo rock. Suvvia, è’ ancora tempo di gioire, quanto di riflettere. Diciotto canzoni, più tre bis finali. Tratti distintivi e alla larga da dannosi integralismi musicali. “The Moon Upstairs” concentrato di stili e idiomi, “Once Bitter Twice Shy” incasellamento golden age, “Fatally Flawed” un momento tra i più alti del live, “When I’m President” ballad con più sussulti, “All American Alien Boy” vivacità al potere, “Dandy” duca bianco e mosaico emotivo, “Bastard” impetuose tentazioni e la conclusiva “All The Young Dudes” hit planetario ed acrobatico. E per finire, virando power-pop, la sparo: un bel gemellaggio Ian Hunter e Foo Fighters, ecco… intrigherebbe molto.

La scaletta: “The Moon Upstairs”, “Once Bitter Twice Shy”, “Fatally Flawed”, “When I’m President”, “Saint”, “The Truth The Whole Truth Nuthin’ But The Truth”, “Morpheus”, “Just Another Night”, “Fingers Crossed”, “All American Alien Boy”, “Dandy”, “All The Way From Memphis”, “Ghost”, “Roll Away The Stone”, “Guiding Light/Mother”, “Sweet Jane”, “Bastard”, “23 A, Swan Hill”

I bis: “(Give Me Back My) Wings, “Life”, “All The Young Dudes”

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