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LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA: Tra lirismo elegante e pop (Recensione Concerto) #LeLuciDellaCentr

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 10 apr 2017
  • Tempo di lettura: 3 min


LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA

Terra Tour

07 Aprile 2017

ATLANTICO LIVE!

Roma

Voto: 9

Di Francesca Amodio

Spesso i critici lo hanno etichettato come “cantante generazionale”, ma Vasco Brondi, giustamente, non ci sta. “Non ho questa pretesa, non penso che il concetto di generazione appartenga molto a chi ha la mia età”. Sono passati oramai ben dieci anni da allora, da quando cioè questo cantautore strano e singolare si affacciava alla discografia nazionale prima con l’autoproduzione “Le luci della centrale elettrica”, ma soprattutto con “Canzoni da spiaggia deturpata” del 2008, prodotto da “La Tempesta dischi”: quello fu l’inizio di un regalo bellissimo, che dura da una decade e di cui forse non ci stancheremo mai.

Vasco Brondi decide di chiamare il suo progetto “Le luci della centrale elettrica”, come le illuminazioni dell’ex polo industriale Montedison, e le luci sorgono nella città di cui tanto canta e dalla quale con altrettanto vigore spesso si distoglie, Ferrara, e dove in qualche modo ci ha catapultati tutti, con i suoi racconti che hanno ridato nuova linfa vitale al pop – rock cantautorale in Italia.

Dopo la doppia apertura degli ottimi Colombre e Flavio Giurato, giovane scommessa giovanile di Bravo Dischi il primo e consolidata realtà cantautorale il secondo, stasera Brondi appare in assoluto stato di grazia, nella dimensione che più gli si confà, l’elettrica: con una band di professionisti eccelsi quali Marco Ulcigrai (chitarra), Giusto Correnti (batteria), Matteo Bennici (basso e violoncello) ed Angelo Trabace (pianoforte, tastiere e sintetizzatore), il pubblico lo ama per il suo dimenarsi scoordinatamente, per il carisma, per le tonalità imprecise, per le voci strozzate, il timbro vocale imperfetto e bellissimo. “Terra”, l’album presentato per la prima volta in concerto stasera a Roma, è un compendio stupendo di un percorso di maturazione artistica ed intellettuale che vede in quest’ultimo lavoro di Brondi una delle sue akmé più totali.


Naturalmente c’è ancora, e per fortuna, quel lirismo elegante e straordinario che sapientemente coniuga un linguaggio pop a cui Vasco Brondi stesso ha avuto l’onere e l’onore di aver ridato i connotati, miscelando con maestria un usus scribendi prosaico e poetico allo stesso tempo, un linguaggio industriale, meccanico ed affascinante, che si sposa meravigliosamente bene con la morbidezza della poesia urbana e del citazionismo distorto di cui Brondi è maestro. I suoi testi sono tutto fuorché casuali, ogni singola sillaba è perfettamente studiata, ogni pittore, scrittore, scultore o regista viene chiamato a testimoniare per una ragione, e non c’è argomento che non interessi la scrittura di Brondi, dal lavoro all’amore, dall’odio all’indifferenza, dalle relazioni sociali alla vita in generale, la vita vissuta, la vita vissuta male, il disagio, il malessere ed il benessere. “Terra” è un disco – summa di anni di viaggi e di appunti, di frasi pensate in un certo momento e di altre ragionate da mesi, di stretta attualità politica e sociale, di amore, e stasera lui e la sua band ce lo suonano fantasticamente.

Nonostante la folta barba attuale stia lì a ricordarci che non è più il ventenne insicuro di qualche anno fa, l’adorabilità di Brondi sta proprio nel preservare quel velo di candore e smarrimento, come se si meravigliasse ogni volta come la prima dell’affetto enorme che il suo pubblico gli dimostra oramai fedele da anni, e che anche stasera non manca di manifestargli, stando in contemplazione durante i pezzi che lo meritano – “Chakra”, “Iperconnessi”, “Cara catastrofe”, “Quando tornerai dall’estero”, “A forma di fulmine” - fino alle scatenanti “Ti vendi bene”, “Per combattere l’acne”, “C’eravamo abbastanza amati”, giusto per citarne qualcuno.


Di artisti come Vasco Brondi, che non assomiglia a nessun altro che non sia egli stesso, che se ne fregano delle mode del momento, del momento passato e di quello attuale, la discografia cantautorale italiana al giorno d’oggi abbisogna in quantità industriali; per questo la musica di questo artista straordinario e straordinariamente fuori dal coro suona tanto come un dono, un dono raro e prezioso di cui fruire quotidianamente, come un mantra, di quelli ipnotici che tanto a lui piacciono e che stasera ci hanno letteralmente stregato, regalandoci un concerto che va oltre l’idea stessa di concerto, seguendo la direzione di un mega viaggio collettivo sensoriale di cui ci siamo sentiti tutti un po’ protagonisti.


 
 
 

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