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LINKIN PARK: Chiudono una rovente e memorabile giornata (Recensione Concerto). #LinkinPark #Sum41 #B

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 18 giu 2017
  • Tempo di lettura: 5 min


Linkin Park

LINKIN PARK

17 Giugno 2017

I DAYS

Autodromo di Monza

Monza

Voto: 10

Di Miki Marchionna


Una miccia, prima posizionata dai Sum 41, poi accesa dai Blink 182 e infine fatta esplodere dai Linkin Park. La terza giornata degli I-Days di Monza di sabato 17 giugno ha portato la firma di tre grandi rock band di fama mondiale che hanno dato spettacolo all’autodromo del parco del capoluogo brianzolo. Circa 80mila i partecipanti al mega concerto dalla line up a dir poco unica, degna di un festival internazionale, che nelle due giornate precedenti aveva già visto le esibizioni rispettivamente di Green Day e Radiohead.


Le danze si aprono sotto il sole cocente nel primo pomeriggio con le performance degli italiani Sick Tamburo e dei britannici Nothing But Thieves. Ai primi arrivati viene concesso l’accesso al pit sotto il grande palco, mentre dietro di loro, dopo le transenne divisorie, si estende la marea di persone. Un oceano di gente sterminato sin dalle prime ore del live. Impossibile riuscirne a intravederne la fine, nemmeno attraverso i grandi schermi quando la folla viene inquadrata.

Assalto ai bar per combattere la calura estiva, l’aria e la terra roventi, con gli uomini del servizio d’ordine che là dove non arrivano i cannoni d’acqua, aprono bottigliette per poi spruzzarle addosso ai tanti giovani assiepati e accaldati.

Ma l’atmosfera è destinata a farsi rovente quando mancano pochi minuti ai primi ‘big’ della giornata. Sulle note di “T.N.T.’’ degli AC/DC fanno il loro ingresso i canadesi Sum 41 che, con la loro “The Hell Song’’, danno una scossa ai migliaia di spettatori spossati. E via con salti e pogate nonostante si stia stretti come sardine sulle note di “Subject to Change’’. Poi Deryck Whibley e soci, con alle spalle un grande scheletro gonfiabile che mostra il dito medio, gettano benzina sul fuoco con la cover di “Enter Sandman’’ dei Metallica. Il frontman dai capelli biondi si arruffiana il pubblico prima con un accenno di “Smoke On The Water’’ («È la prima canzone che ho suonato con la chitarra», confessa) e successivamente con “Seven Nation Army’’ con conseguente coro da mondiali di calcio del 2006. E dopo le ballate di “Walking Disaster’’ e la celebre “Pieces’’, i Sum piazzano una “We Will Rock You’’ riarrangiata in chiave punk metal e i successoni dei primi anni 2000 “In Too Deep’’ e “Fatlip’’, per poi salutare tutti con la travolgente “Still Waiting’’. E qualcuno si aspetta sfascio di chitarre e batteria sul finale, ma il gruppo è cresciuto e i suoi fan con esso. Lo spettacolo, comunque, è stato più che garantito e apprezzato. La miccia è quindi pronta.


Dieci minuti alle otto. La folla si ricompatta, gli amici si stringono, gli sguardi si alzano verso lo stage. Il loro momento è giunto. In sottofondo risuona la sigla della serie tv Stranger Things, mentre ecco spuntare dietro la batteria Travis Barker e al suo fianco Mark Hoppus e il nuovo arrivato Matt Skiba. I Blink 182 aprono col botto con “Feeling This’’ e la mitica “The Rock Show’’. In molti si chiedevano come avrebbe suonato dal vivo la band californiana senza uno dei membri cardine, il chitarrista Tom DeLonge, uscito dalla formazione nel 2015 e sostituito da Skiba. L’essenza della band è quasi del tutto intatta e la new entry si dimostra all’altezza. In alcune occasioni suona, canta e appare fisicamente con addosso berretto e occhiali da sole in modo molto simile al suo predecessore. Subito carrellata dei loro marchi di fabbrica, da “Anthem Part Two’’ a “What’s My Age Again’’, da “First Date’’ a “All The Small Things’’, infilando di tanto in tanto i nuovi singoli dall’ultimo album targato 2016 come “Bored To Death’’e “She’s Out Of Her Mind’’. Il power trio tiene incollata l’attenzione di fan e non su di sé. Hoppus si diverte alla grande, camminando con disinvoltura lungo tutto il palco a più riprese, mentre Barker costituisce sempre il perno attorno a cui tutto gira, il motore della band. Il suo modo di suonare la batteria è travolgente e sicuro, non perde un colpo, riempiendo tutti gli spazi. La folla, sempre più numerosa, canta e ascolta con ammirazione i tre ragazzi che hanno fatto la storia di quello che è stato il fenomeno del pop punk. È la generazione cresciuta con i film di American Pie, sognando i party americani caratterizzati da quella musica e quei testi tanto spensierati. Gli allora 13enni, ora quelle melodie e quelle parole le stanno ascoltando con le proprie orecchie dal vivo.

Il popolo dell’I-Days saluta con riverenza i Blink 182 quando ormai il sole sta calando. Gli headliner stanno per arrivare con le luci della sera. Ore 21:45. La calca dinanzi al palco, tintosi di blu, si fa serratissima. E finalmente con “Roads Untravelled’’ i Linkin Park sembrano aprire in sordina il loro concerto, che subito sfocia nell’energica “Talking To Myself’’ direttamente dal recente disco “One More Light’’. Segue a ruota “Burn It Down’’, con pubblico in delirio che salta all’unisono. Chester Bennington in gran forma, come Mike Shinoda e co.

Colpisce la disposizione on stage: i musicisti sono l’uno accanto all’altro, in 2D, senza che nessuno venga lasciato dietro. Sono tutti sotto lo stesso grande riflettore. L’hype incredibile per il gruppo statunitense viene immediatamente ripagato e giustamente compreso sin dai primi minuti. I Linkin Park sono perfetti. Ciascun componente è al suo posto e fa esattamente ciò che dovrebbe fare. Sono una grande squadra dai ruoli predefiniti. Seguono uno schema vincente grazie al mix che si viene a creare tra le sequenze elettroniche di Joe Hahn, le chitarre poderose di Brad Delson, il rap e le tastiere di uno Shinoda tuttofare e i ruggiti di Chester che sembrano uscire dalle gole dell’inferno. Come nell’infuocata quanto nostalgica “One Step Closer’’ dal primo album “Hybrid Theory’’.


Tuttavia, il frontman colpisce anche per musicalità più pop, dolci e quiete. Autentico momento di giubilo per il pubblico in prima fila quando il cantante si aggrappa alle transenne dinanzi a loro e intona a pochissimi centimetri dai visi di ragazzi e ragazze commossi “One More Light’’, seguito uno dei pezzi più amati di sempre, “Crawling’’. Un Chester certamente caloroso e affettuoso che viene subito santificato e idolatrato dai fortunati che lo hanno di fronte. Chi gli tiene la mano, chi il polso, chi tenta di abbracciarlo, chi gli accarezza il capo, chi tenta solamente di sfiorarlo.

«Il pubblico italiano è il migliore al mondo», ammette.

La scena ritorna sullo stage con le ultime grandi cartucce da sparare: “Leave Out All The Rest’’, “A Place For My Head’’, “What I’ve Done’’ e le immancabili “In The End’’, “Faint’’ e “Numb’’. E con “Papercut’’ e “Bleed It Out’’ i Linkin Park fanno calare il sipario sulla terza, più attesa e più affollata data degli I-Days, ma non prima di un lungo e sentito saluto al pubblico di Monza, con lancio di plettri e consegna di scalette tra commozione e adrenalina ancora altissima per una densissima ora e mezza di live.

Aspettative molto più che rispettate sia per le esibizioni dell’intera giornata che, in particolare, per quella dei Linkin Park, una band che è rimasta se stessa pur cambiando sound e assecondando, specie negli ultimi tempi, le mode musicali del momento. Il loro nome, tuttavia, è rimasto lo stesso: una garanzia.

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