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MARYLIN MANSON: Un pubblico composto per il Reverendo (Recensione Concerto) #MarylinManson#CastelloS

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 27 lug 2017
  • Tempo di lettura: 3 min


MARYLIN MANSON

26/07/2017

Castello Scaligero

Villafranca di Verona

Voto: 6,5

Di Bommartini Francesco

You’re fucking welcome: cosí termina il primo brano proposto dal "satanista" Marylin Manson al Castello di Villafranca. Il termine virgolettato, voluto riferimento a Christus Rex ed altre realtá (anche politiche) che hanno perseguitato il live nelle settimane precedenti allo svolgimento, era forse riscontrabile nelle belle luci rosse che illuminavano il palco? O negli opinabili testi (che sicuramente le realtà di cui sopra non hanno neppure letto)? O ancora nel folto pubblico, abbigliato spesso di nero, con qualche viso pitturato e scritte provocatorie, ricche di cliché ormai abusatissimi nell'ambito metal? Non é dato sapere. Ma in fondo a chi importa, se non a coloro che il concerto non lo volevano vedere?


Ed allora eccoci allo show. Dopo un lungo preludio - tra voci femminili acute e vagamente fastidiose, seguite dalla registrazione di “The End” dei Doors - si fa largo da dietro gli orpelli neri montati sul bel palco il lamento del "reverendo". Le bombe arrivano presto, con “Mobscene” e “The Dope Show”, che proiettano l'audience direttamente nei primi anni 2000. Il pubblico apprezza, qualche attempata signora addirittura piange. Sicuramente eccessivo, ma la musica é bella perché non é matematica: ognuno la vive come crede. Il gruppo convince. Il sound é quello lí, a metá tra l'alternative americano e le schitarrate crossover. Ma quello che fa la differenza é - ovviamente - Manson. Quel timbro, il suo, ha ossessionato giovani e genitori nei 90's e, finché ha potuto, anche nei ‘00’s. L'ascolto internettiano ha poi dato ulteriore spazio, ma meno profonditá, a decine di epigoni di Manson, calmierando anche l'aura trasgressiva che ammantava l'opera del, un tempo, temuto artista.

Il pubblico ha vissuto il concerto in modo piuttosto composto. Alla faccia delle mamme anti-rock, che forse dovrebbero preoccuparsi dei figli che vanno a Ibiza e in disco, piuttosto che dei frequentatori di questi eventi. Dentro, tantissimi i cellulari accesi a riprendere ogni instante del live. Manson intona successi e brani molto meno interessanti. Lo fa con un’aria vissuta e stanca, un po’ come se si trovasse lì per lavoro. La passione probabilmente è rimasta incastrata nelle pieghe di uno dei tanti vestiti – quelli sì sempre all’altezza – con cui colora i suoi show, incluso questo. Nonostante una vocalità decadente, e non solo per i testi che interpreta, il riff inizia di “Beautiful People” sa far scapocciare ancora. Così come sempre efficace resta “Sweet Dreams”. Il capolavoro degli Eurythmics, virato su toni lisergici da Manson, fa doppiamente effetto con il cantante in piedi sui trampoli e la scena variata.


Dopo un accenno di “Revolution” dei Beatles Manson e i suoi attaccano pure “Disposable Teens”, che fa battere i piedi a migliaia di presenti. Seguono altri brani conosciuti perlopiù da chi, tanti, segue da tempo le evoluzioni dell’americano. Al termine i dischi più saccheggiati saranno “Antichrist Superstar” (da cui non viene però proposta l’omonima traccia) e “Mechanical Animals”. Se i suoni non eccelsi (specie le distorsioni) non inficiano il concerto, i troppi tempi morti tra un pezzo e l’altro rinforzano l’idea che Manson metta sempre più mestiere nelle sue apparizioni. Chiude “Coma White”, brano lento e rarefatto, ultimo colpo al cuore agli amanti del reverendo.

Piccola nota di colore: hanno scritto che c'era Sollecito. Non lo so, di certo ho visto i Sonohra e tante magliette diverse, indice di una certa etoreogeneità: Calibro 35, Anthrax, Cannibal Corpse e, perché no, Rodman. Per non parlare delle varie shirt di Manson, vendute dal Merchandise ufficiale a 35 euro. Un prezzo in linea con il celeberrimo prodotto del pensiero alternativo in salsa oscura, ormai tenuto in considerazione più per la sua vita fuori dal palco che per l’effettivo valore artistico che – comunque – gli va riconosciuto. Aldilà dei gusti e delle visioni politico-religiose.


 
 
 

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