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PATTI SMITH: Storie di rock e poesia (Recensione Concerto) #PattiSmith #GratefulTour

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 7 mag 2017
  • Tempo di lettura: 3 min


PATTI SMITH

Grateful Tour

6/05/2017

Auditorium Rai “Arturo Toscanini”

Torino

Voto: 9

Di Federica Monello

Patti Smith fresca di tocco, la sacerdotessa del rock è stata insignita della laurea honoris causa in lettere moderne e classiche (LEGGI QUI LA CERIMONIA), è tornata a Torino con una band d’eccezione. Il “Grateful Tour” si propone di ripercorrere la carriera della poetessa portando con sé pezzi di cuore che l’hanno ispirata, come i suoi figli. Sul palco dell’Auditorium Rai, troviamo infatti il figlio alla chitarra e la figlia al pianoforte, più il bassista e direttore musicale Tony Shanahan e Jay Dee Daugherty alla batteria.

L’Arturo Toscanini è strapieno già con Marianne Mirage, che apre il live e il pubblico è scalpitante. Giù le luci e il pubblico è in delirio, applausi e urla incitano l’entrata in scena e poi accolgono Patti e la sua band. Qualche problema tecnico alla chitarra del figlio ci da l’opportunità per chiacchierare con la poetessa e svelarci la sua anima ironica. Scherza sulla bella giornata, da giorni Torino è assediata da una pioggia autunnale, e poi decanta le bellezze architettoniche e culinarie della città sabauda.


Il pezzo che apre il live è dedicato alla figlia Jessie, oggi al piano, e a tutti i bambini. Parte così un’ovattata e dolce “Wing” tra sguardi fieri e materni al figlio Jackson. Mani rivolte al cielo, batteria che scandisce il ritmo e chitarra che accompagna per “Ghost Dance”. La danza fantasma si compie accompagnata dagli applausi a tempo del variegato pubblico: settantenni e ventenni, gli uni accanto agli altri, annullano la differenza d’età come solo la musica sa fare. “Redondo Beach” ci fa ballare con tanto di incitamento, “Shake it out” grida Patti al pubblico. Tutto è imperfetto oggi, dice Patti, ma la città è bella ed è stato un piacere oggi incontrare i ragazzi delle scuole perché i giovani sono la speranza del mondo. Conclude dicendo che le imperfezioni regalano grandi sorprese. Tutti in piedi nelle balconate per “Dancing Barefoot” cantata e suonata dalla poetessa e che si chiude con un superbo assolo di basso. L’auditorium è pieno di amore e calore, tanti le gridano “I love you” e “Sei unica Patti”.


“A hard Rain’s gonna fall” di Bob Dylan ce la presenta come la sua canzone preferita quando aveva 25 anni, la ascoltava sempre in quegli anni. Occhiali per le leggere il testo e più che cantarcela ce la racconta e poi ci coinvolge nel cantare il ritornello “It’s hard!”. L’altra cover che porta sul palco è di Prince, “When doves cry”. Un magico assolo di basso e la scansione delle parole “Come come come…” ci incantano, occhi chiusi e viaggiamo con “Pissing in a river”.

La dedica del prossimo brano è al co-autore dello stesso, il padre dei suoi figli. Chi conosce bene la sacerdotessa sa che sta per arrivare “Because the night”, a stento le poltrone vellutate riescono a contenerci. Infatti al primo primo accenno di “People have the power” viene preso d’assalto il sotto palco. Si avvicina alle persone, ci tende il microfono, ci fa cantare perché il brano è per noi. Il finale è col botto, dice lei che questo brano è improvvisato, ma “Gloria: in excelsus deo” è energica, rock, coinvolgente. Non c’è persona che non canti e si dimeni nel sottopalco, l’Auditorium è in delirio. Noi siamo stanchi, abbiamo quasi il fiatone e lei è lì sul palco meno provata di noi. Nel suo completo rock nero e i lunghi capelli color argento è la Patti Smith di sempre: la sacerdotessa instancabile del rock.

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