WOMAD FUERTEVENTURA: Il Festival Multikulti secondo Francesco Pitillo (Intervista) #WomadFuertevent
- Redazione
- 22 nov 2016
- Tempo di lettura: 4 min

WOMAD FUERTEVENTURA FESTIVAL 2016
Si è tenuta, a Gran Tarajal nelle isole Canarie, dal 4 al 6 novembre la nuova edizione di questa significativa kermesse "around the world". Ne abbiamo parlato con Francesco Pitillo, tra i responsabili della programmazione artistica del Bloom di Mezzago, musicista ed insegnante di percussioni, da qualche giorno ritornato in Italia, dopo aver girovagato per qualche settimana in Europa, alla ricerca di nuove realtà musicali.
di Massimo Pirotta
Multikulti era l'ineccepibile suono della pocket-trumpet di Don Cherry, uno dei maestri dell'avant- jazz. Il Womad Festival fu ideato nel 1982 dall'ex-Genesis Peter Gabriel, il quale, qualche anno dopo (1989) diede vita alla Real World, la sua seminale label di musiche dal mondo. Tra le numerose incisioni e testimonianze discografiche, vale la pena ricordare, anche quella della formazione sarda Tenores di Bitti.

Che atmosfera hai trovato al 34° anno e in questa edizione?
A dir poco, magnifica. Musica di alta qualità, un'organizzazione al limite della perfezione e una locazione da favola. L'invitante spiaggia, il clima mite in un mese invernale. E soprattutto, il sopraggiungere di persone da tutto il mondo, intergenerazionale, famiglie intere, tardo freak e di chi vuole vivere la musica più che consumarla. Nella tre giorni la musica invade le strade dal mattino e va a scemare solo all'alba con una serie di accattivanti dj-set.
E' quindi una manifestazione in evoluzione?
Assolutamente sì. Fai conto che una volta si teneva una volta all'anno, da un pò di tempo a questa parte, in un anno ci sono ben sei appuntamenti dislocati in più continenti: Cile, Australia, Nuova Zelanda, Spagna, Inghilterra, Isole Canarie. Quella spagnola e quella alla quale ho partecipato sono ad ingresso gratuito. Ricordo, che ci fu anche un'edizione italiana, che ebbe luogo in Sicilia ma che non ebbe un seguito. Durante i tre giorni, c'è stata un'affluenza di circa 35mila unità, con un picco al sabato di 20mila persone.
Oltre un festival, anche una festa?
Per certi versi sì. Ma prima di tutto è un festival. Che ragiona a tema, in cui il pubblico balla, applaude, gira per la città è un tutt'uno con gli artisti sul palco. Che sono due, uno di fronte all'altro. Gli artisti si alternano, quindi puoi vedere tutto perchè non ci sono concerti in contemporanea. Partono alle 18.00 e terminano verso la una di notte. Ma la musica prosegue, come detto prima. C'è la possibilità di usufruire di un vasto campeggio, in eccellenti condizioni e con un prezzo veramente stracciato: 15 euro in totale, dal giovedì (antecente all'inzio) al lunedì (dopo la conclusione)
Quali sono gli elementi catalizzatori?
La capacità di indicare percorsi musicali e non solo. Ogni anno si elaborano tematiche diverse. Nulla è lasciato al caso. E' un festival che è un crocevia di incontri, emozioni, divertimento in cui convergono diverse culture. Questa è stata la volta in cui si è dato ampio spazio alle formazioni locali (che sono numerose, in costante crescita, di buona qualità e dagli stili diversi) e a quelle provenienti dal continente africano. Il festival ha sempre avuto emblematici connotati sociali. La spiaggia è a meno di cento kilometri da Mama Africa, c'è il problema dei flussi migratori, la gente del posto e di ogni età partecipa in modo massiccio. C'è gioia, quella voglia di poter dire "io c'ero" e non ho mai visto episodi sgradevoli

Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente colpito?
Ognuno ha le sue peculiarità, il suo perchè, sono espressione di come va la vita. Vale la pena menzionare Bassekou Kouyatè and Ngoni Ba (Mali) con il loro blues desertico eseguito con strumenti delle loro tradizioni locali, Pat Thomas & Kawashibu Area Band (Ghana) con la loro freschezza afrobeat dalla quale non puoi sottrarti, Noura Mint Seymali (Mauritania) cantante tradizionale accompagnata da un trio elettrico dagli aromi psichedelici, Bitori Ft. Chando Graciosa (Cabo Verde) con tanto di organetto diatonico, esponente del Funanà, un genere musicale da festa, molto diverso dal morna (più malinconico e riflessivo) e che per questa sua caratteristica fu censurato durante gli anni del colonialismo (insomma, era vietato anche divertirsi un pò, senza fare nulla di male), Flavia Coelho abbastanza conosciuta anche in Italia e che è un pò Maria Bethània, Diana Ross e Nina Hagen.
Oltre ai concerti?
Poco distante dai due palchi, c'è un suq con tanto di bancarelle con prodotti artigianali e gastronomici locali ed extra-territoriali (si calcola che l'intero festival generi un indotto di circa 750mila euro). Ci sono workshop per bambini ed adulti (si va dalla costruzione collettiva di coreografie stradaiole, cioè di pupazzi e maschere ai corsi di danza e percussioni). Una rassegna cinematografica con film a carattere musicale (quest'anno dedicati a Paco De Lucia, Vinicious De Moraes, Amy Winehouse, Fela Kuti e il "recupero" di "Stop Making Sense" con i Talking Heads). Nell'ultimo giorno c'è una sorta di festival nel festival: il trionfo della musica errante, che attraversa le strade e alla quale sono soliti partecipare anche tutti i musicisti che poi saliranno sul palco.
In Italia una realtà simile potrebbe prendere forma?
Tenderei a dire di no. Ci mancano la cultura del festival, gli appoggi delle istituzioni, si "giocherebbe" al rialzo dei prezzi, non so quanto possa interessare ai mass-media (al di là dell'aspetto folklorico). Guarda che fine ha fatto il Rototom Sunsplash, il più importante festival reggae in Europa: ha dovuto traslocare dal nostro Paese. Da noi, per molti versi, continua a prevalere la non percezione.

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